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sabato 28 gennaio 2012

Storie di cronopios e di famas, Einaudi, 1971

Piccola storia tendente a illustrare quanto precaria sia la stabilità all'interno della quale crediamo di vivere, ovvero che le leggi potrebbero cedere terreno alle eccezioni, al caso, o alle improbabilità, e qui ti voglio.
J. Cortàzar, Storie di cronopios e di famas, Einaudi, 1971

http://www.youtube.com/watch?v=PTz20ewydlw

mercoledì 25 gennaio 2012

I
Solo l’amare, solo il conoscere 
conta, non l’aver amato, 
non l’aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato 
amore. L’anima non cresce più. 
Ecco nel calore incantato
della notte che piena quaggiù 
tra le curve del fiume e le sopite 
visioni della città sparsa di luci,
echeggia ancora di mille vite, 
disamore, mistero, e miseria 
dei sensi, mi rendono nemiche
le forme del mondo, che fino a ieri 
erano la mia ragione d’esistere. 
Annoiato, stanco, rincaso, per neri
piazzali di mercati, tristi 
strade intorno al porto fluviale, 
tra le baracche e i magazzini misti
agli ultimi prati. Lì mortale 
è il silenzio: ma giù, a viale Marconi, 
alla stazione di Trastevere, appare
ancora dolce la sera. Ai loro rioni, 
alle loro borgate, tornano su motori
leggeri - in tuta o coi calzoni
di lavoro, ma spinti da un festivo ardore -
i giovani, coi compagni sui sellini, 
ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori
chiacchierano in piedi con voci 
alte nella notte, qua e là, ai tavolini 
dei locali ancora lucenti e semivuoti.
Stupenda e misera città, 
che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci 
gli uomini imparano bambini,
le piccole cose in cui la grandezza 
della vita in pace si scopre, come 
andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo 
senza tremare, non vergognarsi 
di guardare il denaro contato
con pigre dita dal fattorino 
che suda contro le facciate in corsa 
in un colore eterno d’estate;
a difendermi, a offendere, ad avere 
il mondo davanti agli occhi e non 
soltanto in cuore, a capire
che pochi conoscono le passioni 
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
fratelli proprio nell’avere 
passioni di uomini 
che allegri, inconsci, interi
vivono di esperienze 
ignote a me. Stupenda e misera 
città che mi hai fatto fare
esperienza di quella vita 
ignota: fino a farmi scoprire 
ciò che, in ognuno, era il mondo.
Una luna morente nel silenzio, 
che di lei vive, sbianca tra violenti 
ardori, che miseramente sulla terra
muta di vita, coi bei viali, le vecchie 
viuzze, senza dar luce abbagliano 
e, in tutto il mondo, le riflette
lassù, un po’ di calda nuvolaglia. 
È la notte più bella dell’estate.
Trastevere, in un odore di paglia
di vecchie stalle, di svuotate 
osterie, non dorme ancora. 
Gli angoli bui, le pareti placide
risuonano d’incantati rumori. 
Uomini e ragazzi se ne tornano a casa
- sotto festoni di luci ormai sole -
verso i loro vicoli, che intasano
buio e immondizia, con quel passo blando 
da cui più l’anima era invasa
quando veramente amavo, quando 
veramente volevo capire. 
E, come allora, scompaiono cantando.
 
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci (Poemetti, 1957) 
In Tutte le poesie, Volume I, Meridiani Mondadori, Milano 2003