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sabato 29 dicembre 2012

Recensione a Fantasmagonia, La Libellula, dicembre 2012

Numero 4 della rivista di italianistica La Libellula, lo trovate on line, qui: http://www.lalibellulaitalianistica.it/blog/

Ho provato a recensire Fantasmagonia, di Michele Mari ((pp. 140-141)

Michele Mari, Fantasmagonia, Torino, Einaudi, 2012, pp. 164, € 18,00 



 Nell'ultima delle trentaquattro prose brevi, Fantasmagonia, eponima della raccolta che la contiene, Michele Mari fa una lista delle cose, o delle condizioni necessarie alla nascita di un fantasma: a una Fantasmagonia, appunto.
Passando in rassegna i diciannove punti che la compongono e ripensandoli in relazione alla lettura appena ultimata, e agli altri suoi libri letti in precedenza, viene da pensare che Mari sia uno scrittore fantasma. Le brevi prose che compongono questa raccolta necessiterebbero ognuna di una recensione a sé: ognuna meriterebbe d'essere ricondotta alla trama dei legami che intercorrono tra questi racconti e i libri precedenti, o ancora i tratti che li legano alle sue letture, alla sua bio-bibliografia, alla vita fantasma che ci si costruisce leggendo storie e vite di altri. Perché è anche così che nasce una voce fantasma.
Mari è la voce di Piero di Cosimo (che dice «dua»; «ovo»; «capegli»), è Cecco Angiolieri che sfida in tenzone poetica Folgóre da San Gimignano (Cecco mette a punto il suo furore); ma è anche il sé stesso che era: un adolescente che gioca a carte col nonno, mentre il Milan di Rivera perde il suo scudetto all'ultima giornata e tutto per colpa di una bolla d'aria in una bottiglia. Perché una voce fantasma è una voce che dà voce a tutti i sé stessi che è, che è stata, e che continuerà a essere.
Se tutto questo fosse una proporzione matematica potremmo dire che il fantasma : casa = lo scrittore fantasma : letteratura. L'esistenza di uno scrittore-fantasma però non è matematica, ma non è neanche opinabile. Ha regole precise e immutabili. Una delle cose essenziali alla formazione di un fantasma è proprio l'immutabilità. Il fantasma non cambia e non deve cambiare: come i miti non ha bisogno di piegarsi al presente, anzi «lo spregio sovrano del presente e del mondo lo contraddistingue» (p. 144).
La letteratura è, dunque, la casa (o la tana) di Michele Mari, che si specchia – senza la pesantezza dei contorni del proprio corpo – nelle storie degli altri e le riflette: Mari che è Joseph K. alla ricerca della ragione della sua legnosità; Mari che postilla un famoso «soffitto viola» (Tre postille a un soffitto viola) e che racconta di Charles Lutwidge Dodgson che si salva dall'«ontosa balbuzie» e crea bellezza (e meraviglie), guarendo dalle parole grazie alle parole, giocando col significante e liberandosi grazie a filastrocche nonsense, rima e metro: «con la rima e il metro – la lingua vien dietro – con il metro e la rima – io parlo assai prima» (p. 76).
Il metro è tutto. E il numero è un'ossessione, ma a volte salvifica, come quella di Marcellino che indugia nel «piacere dell'addizione» (p. 12), fantasma anche lui, perché un'altra delle condizioni della Fantasmagonia è «l'aritmomania»: il fantasma racconta e conta, nella sua prigione, cerca sempre la «ratio sulla quale imbastire il salvifico esorcismo» (p. 149).
Tuttavia la ratio certo non sta solo nei numeri, ma anche nelle lettere, nelle parole. Nell'uso cosciente che si fa della lingua. Uno dei racconti di Fantasmagonia si intitola Ballata triste di una tromba, ed è anche la ballata triste di una lingua: malinconica e poetica, che si muove su più registri. C'è il polo alto («speco»; «dulcedo»; «bontade»), e quello basso e risibile, quello – ad esempio – dei tanto detestati alterati in -ino, tic linguistici usati e abusati («primini», «assaggini», «stuzzichini» p. 123). E ci sono le onomatopee («zamfete» p. 136), elementi che, insieme a trivialismi (si veda qui Il sogno del fecaloma) e a settentrionalismi (in Crapa pelada) troviamo da sempre nella prosa plurivoca di Mari.
La voce di uno scrittore fantasma è la voce di una menzogna, se è vero che la letteratura è menzogna; è falsa, se è vero che una menzogna è falsità; ma Mari non è mai un falsario e la sua voce non è un falsetto, piuttosto un «sussurro» (settimo punto della Fantasmagonia), se è vero che – invece – il fantasma interloquisce con sé stesso e «più detesta il valore mondano, avvertito ora come boato cosmico ora come fastidiosissimo brusire, più egli abbasserà il proprio volume di voce» (p. 148).
La voce di un fantasma è il suo doppio, l'altro io, o la sua metà: non è facile capire dove inizi la casa e dove finisca il fantasma, ci spiega Mari; non è facile capire dove inizi lo scrittore fantasma e dove finisca, perché il fantasma «tende a dissolvere il principio che lo individua» (p. 154). Così, Mari ha instaurato un rapporto obliquo con la tradizione («e non si può dirla in modo obliquo, questa verità, con mediazioni eleganti?», p. 130) che conosce e domina, e nella sua voce-tana ha assunto e rielaborato con naturalezza l'artificiosità; ha iniziato a parlare – perché comunque gli scrittori parlano – naturalmente in quel modo, ha indossato con disinvoltura un abito elegante, come fosse quello da portare tutti i giorni: l'abito non farà il monaco – a volte sì – ma spesso fa l'abitudine.
Slontanato, straniato, viscerale, Mari senza bisogno d'accordarsi la voce racconta storie di mostri e fantasmi, che sono in realtà storie della mente, di crepe e ossessioni del pensiero, di deformazioni e paure («tu sei nato dalla mia angoscia, te la sei sempre presa, la mia energia» p. 4).
Paure di oggi, e di ieri. Fantasma è chi vive il proprio passato, anzi chi continua a viverlo, anche nel presente, come unica dimensione possibile, come appiglio e approdo; chi vive la propria vita come fosse una casa, e ogni attimo come fosse una cosa. Tutto assume una precisa connotazione tutto è quello che è, ed è l'alone che lo circonda. E gli aloni a volte fanno male, anche se senza corpo, senza sostanza, senza peso. Anche il titolo Fantasmagonia è circondato da un alone, e l'alone è la sua metà: l'agonia, perché Fantasmagonia è una cosmogonia fantasmatica, è una rapida e fantastica fantasmagoria, ma è anche l'agonia del fantasma, il suo male.
I fantasmi non si salvano, i fantasmi sono angoscia e paura, colpa e tormento. I fantasmi sono anime. Giorgio Manganelli scrisse che la letteratura «quando getta via la propria anima trova il proprio destino», Michele Mari gettando via le sue anime, lo ha trovato un'altra volta.
Tamara Baris







giovedì 27 dicembre 2012

lunatici



«lo suo colore è variato dal colore de l'altre stelle, e ha colore bianco quasi argenteo, e ha ombre entro essa; le quali ombre so' desegnate a similitudine del viso umano, secondo quello che vegono e ponono li savi desegnatori quando la desegnano»
Restoro d'Arezzo





martedì 25 dicembre 2012

(t)-writ(t)er: 6 in 140.

I consigli di lettura di Andrea Gentile.



Credo siano gli ultimi consigli di lettura della rubrica su Vox Studenti. Forse la rubrica, in qualche modo, in un altro posto, sopravviverà.

E sono molto belli.
T.