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lunedì 28 febbraio 2011

Momenti di trascurabile felicità

Che poi succede, succede sempre così.

Tempo fa, per Einaudi, è uscito Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo. Il libro di Piccolo è uno di quelli che ho comprato, soprattutto, per il titolo. Sì, lo confesso: a volte alcuni li compro così,tanto per, solo perché il titolo mi sta simpatico.
Così: l’ho comprato; l’ho messo in borsa, e poi, come faccio spesso coi libri che hanno un titolo che funziona, l’ho subito tirato fuori: perché non solo io ma l’intero mondocheincontreròquelgiorno dovrà sapere, dovrà dire: ah, guarda che bel titolo che ha quel libro.

***

Vado al bar; incontro amici: prendiamo un caffè. Appoggio il libro di Piccolo su un vecchio libro del ’77, poi mentre parliamo di Leopardi, di Vattimo (perché di Vattimo, poi?), del PD, di Canale 5, forse del buco dell’ozono – non lo so – inizio a scattare qualche foto. Così, tanto per.
Le foto scattate finiranno su Facebook - naturalmente - e l’album si chiamerà Momenti di trascurabile caffeina: perché riprende il titolo del libro che ho preso oggi, perché rende l’idea del caffè inutile eppure indispensabile che prendi la mattina coi tuoi colleghi prima di andare a lezione (di solito con quelli con cui non andrai a lezione).

***

Sono proprio entusiasta del mio acquisto e della trascurabile felicità che provoca questo libro.

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Peccato che l’abbia comprato proprio in un momento in cui non avevo nessuna voglia di leggerlo: resta, infatti, dimenticato un mesetto o due, perché sono presa da altro, perché devo assolutamente fare questa e quell’altra cosa.
Poi in realtà, presa dall’urgenza e dalla suprema importanza di una marea di impegni, mi rendo conto che, arrivata la scadenza (le scadenze), ho fatto ben poco: mi è saltato tutto, o quasi. Incluso il fatto di dover andare “assolutamente” al cinema, a vedere quel film “che è tanto che sto programmando di andare a vedere”. Allora sai che faccio per rilassarmi e fare ordine? Mi leggo Piccolo.
Bene.

Per quello strano fatto che accomuna vissuto e scritto (talvolta) mi trovo – per colmo di beffa -  dopo aver realizzato che mai andrò a vedere quel film, mi trovo la p. 5 di Piccolo che inizia proprio a raccontarmi di lui alle prese con l’uscita «di un film che aspettavo», dice.

 Ma guarda, penso.
A p. 6, immersa in un mio momento di trascurabile felicità, scopro che neanche lui ci andrà al cinema e inizio a pensare che i suoi momenti di trascurabile felicità abbiano qualcosa a che fare coi miei (con quelli di molti) e con quel momento in cui ti senti, nella vita, «in qualche modo incomprensibile, sollevato». Inclusi i momenti in cui non fai (non ti riesce di fare) proprio quella cosa che dovevi fare (anche se poi te ne pentirai amaramente, però accade: per un momento ti senti sollevato, accade).
Sempre più entusiasta del momento scelto per leggere il libro di Piccolo, di questa alchimia (scusate ma dovevo proprio dirlo, perché sono quelle cose che non dico mai perché le dicono tutti, ma stavolta dovevo proprio) creatasi tra: quello che c’è scritto; quel tempo intercorso tra te e la non-lettura; e quello che hai combinato (o non combinato) nell’ultimo periodo, entusiasta, dicevo, pensi: potrei recensire il libro partendo dal titolo: procedendo a cascata: giustapponendo una serie di piccoli blocchi che iniziano in maniera formulare, proprio giocando su questo “momenti di trascurabile felicità” e, mentre lo pensi (con la consueta consistenza dei tuoi pensieri che crei e distruggi in un millesimo di secondo) ti imbatti, in una momentanea, illusoria, scelta di Piccolo di non usare i due punti: momenti di trascurabile punteggiatura, rifletti.
Ma, niente affatto, ti dici poco dopo. Non è così, e metti da parte le tue manie su usi interpuntivi et similia. E poi pensi, così, all’improvviso, a quando volevi fare l’altra volta la recensione all’altro romanzo e volevi partire proprio dal titolo e hai atteso quel romanzo e il momento per recensirlo con trepidazione (ecco: trepidazione, io non la userei mai…). Poi il romanzo è uscito: l’hai sottoposto al consueto esame autoptico (usi interpuntivi et similia; rimandi possibili e impossibili; canzone a cui ho pensato che-pensa-si-chiama-quasi-come-si-chiama-il-romanzofilm-chepersonaggi-che), un esame autoptico infallibile, tra l’altro, e quasi impeccabile come quello che hai sentito fare dal critico alla presentazione di questo tuo meraviglioso-romanzo-che-non-vedo-l-’-ora-di-recensirlo.
Ecco, tu, dopo aver riempito di appunti un foglio protocollo (di appunti a matita di quelli che prendi mentre recensisci tra sciocchezze incommensurabili e intuizioni esatte, coi numeri delle pagine accanto), dopo aver passato il romanzo sulla tua consueta griglia, tu, quella recensione, non l’hai fatta.
E mentre ricordi questa cosa, mentre scrivi questa pagina, torni a pensare ai momenti di trascurabile felicità di Piccolo che fanno eco ai tuoi, e ce ne sono: quel momento in cui_____________; e quell’altro quando__________; e poi c’è quello che___________; e quell’altro che ti ricorda esattamente___________; e quello così vero, così crudo, così tagliente in cui_________ e tu non l’hai fatto, perché in quel momento non potevi farlo.

E proprio ora, dopo aver ripensato un minisommario dell’ironico, pungente, divertente elenco di Piccolo, ti rendi conto che dovevi recensire Piccolo e non l’hai fatto.

E questo, anche questo, in fondo, è un momento di trascurabile felicità.










 «Gli sms dopo le undici di sera che dicono: dove sei?, che significano molto di più di quello che dicono».


Francesco Piccolo, Momenti di trascurabile felicità

2010
L'Arcipelago Einaudi
pp. 136 
€ 12,50