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sabato 31 dicembre 2011

2011, + o -


Non importa quanto ci si affanni a fare di noi stessi un monumento di parole, scrivendo diventiamo quel rumore muto, un'entità impalpabile ma presente che vaga di scatola cranica in scatola cranica, rimbombando nel cervello della gente. Tra il rumore muto impresso nei libri di Kafka e l'individuo in carne e ossa che Kafka era in vita ci corre un abisso che nessun nome potrà mai colmare. Non c'è scampo, scrivendo si diventa fantasmi.
Tommaso Pincio, Hotel a zero stelle, Contromano Laterza 2011. 



Chiusi il computer e spensi la luce. Mi strinsi ad Anna e neldormiveglia immaginai di trovare Simona, uscirci assieme a cena, spiegarle cosa provavo allora; e mi chiesi se la scrittura non nascesse da un vulnus, dalla mancata elaborazione di un lutto. A cosa allude se non a quella dolorosa assenza? A cosa cerca disperatamente di assegnare un nome, se non a ciò che non ha più cittadinanza nell'essere, o che non l'ha mai avuta?
Sergio Garufi, Il nome giusto, Ponte alle Grazie, 2011.








Non sarà facile ma si tratta proprio di questo, uomo, raccontare.
Alessandro Bertante, Nina dei lupi, Marsilio, 2011




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Forse mi inganno forse è vero che noi ci scriviamo proprio quando vorremmo tanto incontrarci, forse colpevoli siamo tutti e due. Ma talvolta mi dico che il mio silenzio è, in qualche modo, più comprensibile del tuo, perché il buio che mi impone è più antico.
Ingeborg Bachmann Paul Celan, Troviamo le parole, Lettere 1948-1973, Ritratti, Nottetempo, 2010.





- hai la mia parola. 
- le parole sono la merce più deperibile.  

La rispettabilità è tutto. E come tutto non è un granché, ma il resto non conta nulla.
Fabrizio Ottaviani, La gallina, Marsilio, 2011.




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Io non ho quasi mai bisogno di nessuno. Ma le volte che mi capita, ecco che c'è qualche intralcio.
Christian Frascella, La sfuriata di Bet, Einaudi, 2011.









- E i terroristi? in cosa si differenziano dai rivoluzionari clandestini?
- Chi lo sa. Potrebbe essere, anche in questo caso, la storia trita dei punti di vista. Rivoluzionari, terroristi. Parole, siamo intrappolati nelle parole. Da quelle non si esce. I fatti, nel frattempo, può succedere che sfuggano.
- Sarà. Ma devo chiederti un'altra cosa.
- Se so, Noè, ti rispondo.
- Come dire... la Tiziana. La Tiziana mi ha scritto tre messaggi.
- Messaggi?
- Sms.
- E che dice?
- Eh, che dice...
Matteo Melchiorre, La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi), Contromano Laterza, 2011.







Ho passato qualche ora anche con:
Ternitti, Mario Desiati, Mondadori, 2011; Perché scrivere, Zadie Smith, Minimum Fax, 2011; Tetano, Alessio Torino, Minimum Fax, 2011; Poeti degli Anni Zero, L’Illuminista, 2010; Fabio Guarnaccia, Più leggero dell’aria, Transeuropa, 2010; Arturo Robertazzi, Zagreb, Aìsara, 2011; Vincenzo Latronico, La cospirazione delle colombe, Bompiani; Franco Arminio, Terracarne, Mondadori, Strade Blu; Gianfranco Di Fiore, la notte dei petali bianchi, Laurana Editore, 2011

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... , ancora:











poi:
Tommaso Landolfi, Cancroregina.
Raymond Queneau, Hazard e Fissile.
Pier Paolo Pasolini, La divina mimesis, Transeuropa.

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poi:







Mi mancavano le parole per dire i pensieri. Forse mi mancavano anche i pensieri.
Mariapia Veladiano, La vita accanto, Einaudi Stile Libero Big, 2011




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Palahniuk x3:
Soffocare;
Invisible Monsters;
Dannazione.









Ultimo letto:
Giuseppe Munforte, Cantico della galera, Italic, 2011.
Ne parleremo, considera. Non dipenderà da noi, ma capiterà. Non è difficile per lui comprendere la strana predilezione della vita a incrociare ripetutamente i pochi oggetti del destino di ognuno. Questo bar. Quel giorno lontano. Il quadernetto. Quel golfino. L’anello. L’uomo astratto ne segue la tessitura, trova una misera rete di connessioni in qualunque disastro, consuma la sua emotività nella compassione solitaria del tempo degli altri.





Voglio dire che noi siamo una coppia? Non ci avevo pensato, ma non credo che sia il modo giusto di porre il problema. Certo, il nostro rapporto deve pur sempre fare i conti con i pronomi, che sono quello che sono, e dunque, dovrò dire "io", e dovrò dire "Lei". Ma non vede che già nell'uso strano, oserei dire stravagante, furbesco, di quel pronome "Lei", c'è un tentativo di eludere la cattura pronominale, e di attribuirLe un pronome ambiguo e dunque polivalente, un pronome da gioco, un gettone, una parola d'ordine, qualcosa che non ha sesso certo, e che può riferirsi a immagini incompatibili; anzi, che ripiegando su di una terza persona, per parlare ad una seconda, dà segnale evidente di voler guardare altrove, di evitare lo sguardo, giacché certamente Lei è una presenza anche terribile, sebbene sia anche una presenza estremamente cattivante, tanto cattivante che mi è impensabile un universo in cui io non abbia compiuto su di Lei questo gesto supremo e inesauribile, l'assassinio, e se esistesse codesto universo, io per verità non vorrei viverci.




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