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lunedì 5 dicembre 2011

Caos lento, in morte di Vox


Caos lento*.



Rileggo l’articolo di Tommaso dopo averlo inoltrato ad Alberto, come è prassi, ormai da un po’. Fuori fischia il vento, urla la bufera, pare la bora di Trieste: peccato che dalla finestra si veda solo il solito panorama, invece (che però non è per niente male, diciamolo). Lo scenario sembra quasi apocalittico: cielo grigio (senza sognare California), vento, pioggia: freddissima giornata uggiosa di Xmbre. È la giornata perfetta per l’addio a Vox (o per un film dell’orrore). Vox è morto, Vox ist tot (ma magari che ne sai, risorge).

Rileggo Tommaso e mi soffermo sulle ultime righe, soprattutto.

Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano



Sì, potrebbe starci: ‘la mia età’ anno più, anno meno; e tutto il resto: dai che è precariato; ricerca sottopagata; graduatorie infinite; ripetizioni il pomeriggio. Sì, siamo sono, siamo solo noi. (Scherzo ma non troppo).

Però conserviamo, o Tommaso, la speranza della resurrezione di Vox, o almeno proviamoci. O ancora: non vorrei che tutto questo finisse, non vorrei che l’uscita di scena di quella che Tommaso chiama ‘la nostra generazione’ significasse la fine di un’epoca, non lo vorrei, ma forse è così perché in fin dei conti: lo è.

Ma spero che possa esserci qualcun altro che abbia idee valide e magari migliori delle nostre, spero che qualcuno frugandosi nelle tasche possa riuscire a trovare una parola che si chiama impegno e possa usarla, in qualche modo. Perché mi rifiuto di pensare che se anche questo giornale dovesse morire a nessun altro possa venire qualche idea simile, migliore, valida.

E poi: suvvia Tommaso, vecchi? Col sorriso sulle labbra, pensando alla nostra presunta vecchiaia dopo aver letto il collega Di Brango, mi volto e trovo il Meridiano di Fitzgerald che mi fa compagnia sul mio scrittoio e penso a questo passo che, quando lessi Belli e dannati, mi colpì e che vista l’età anagrafica dei più tra noi voxisti, ci sta:



«Un altro inverno». La voce di Maury giunse dalla finestra in un sussurro.

«Diventiamo vecchi, Anthony. Ho ventisette anni, perdio! Mancano

 tre anni ai trenta, e poi sarò quello che gli studenti liceali chiamano

un uomo di mezza età».



Gli studenti liceali, già. O anche le matricole, per dire. Vox di certo è nato che eravamo più giovani e ne ha avuti di difetti, eccome. (Tra tre anni voialtri, sarete uomini di mezza età, almeno stando a Maury, fatevene una ragione).




Pur con tutti i difetti, le mancanze, gli errori, è stato impegno, è stato un impegno, è stato il nostro impegno di studenti. Forse quando abbiamo iniziato, non credevamo neanche che tutto questo potesse andare avanti e resistere per la bellezza di quattro anni, quattro anni in cui noi, studenti da strapazzo promotori di uno scrausissimo giornale universitario, siamo cresciuti, siamo diventati adulti (i vecchi di cui sopra).

Siamo cresciuti e forse strada facendo il giornale è cresciuto con noi (in linea di massima è migliorato negli anni, ora: no, vi prego, non cercate di ricordarvi quand’è che pubblicammo quella veste grafica orrida, color giallo Simpson, non siate pignoli, fidatevi di quello che dico: in linea di massima siamo cresciuti, rispetto ai primi esperimenti), migliorato grazie all’impegno di tutti noi, perché è così: perché questo giornale è sopravvissuto proprio grazie a tutti noi, ai nostri contributi, alle attività collaterali e al sostegno di tutti i lettori, studenti e docenti.






Viral #5
"Il tempo non manca, il tempo c'è sempre. Il tempo finisce una volta sola..."





Ecco io questa volta non ce l’ho fatta a sfornare una delle mie lunghissime recensioni (perché sì spesso sono state lunghissime: i temuti animali mitologici che arrivavano nella redazione di Vox spaventando i poveri Errico e Alberico che dovevano a tutti i costi farle entrare nello spazio stabilito, mea culpa), questa volta non ce l’ho fatta anche perché stavo per fare il colpo grosso, per chiudere in bellezza con un’intervista tutt’altro che scontata che però è sfumata. Pazienza: sono cose che capitano.






Una cosa che ho imparato in questi anni (e anche in questi anni di Vox) è che: sì, è possibile fare molto, e raggiungere più o meno tutte le persone che ci passano per la testa, che spesso sono solo a un colpo di telefono o distano da noi lo spazio del pulsante invio di un’e-mail ma siamo in un mondo che corre ed è il tempo il tiranno più grande da fronteggiare:  basta saperlo prendere, però.



Stavolta mi sono voltata sulla sinistra, sul mio scrittoio -  più che mai campo di battaglia - a ricordarmi che «il tempo c’è sempre» c’è la copertina bianca che il buon Federico Mauro (insieme al viral) ha confezionato per Fandango per l’ultimo di Sandro Veronesi, i racconti di Baci Scagliati Altrove.

Questione di tempo, e di tempi, la vita. Vero.  

Bisognerebbe ricordarselo. Accanto al libro della Fandango, il motto della Laterza ‘constanter et non trepide’ interviene come a sottolineare questo aspetto, del tempo. Il motto, in tutta la sua serietà, mi guarda come a dire «non te lo ricorderai mai»,  impeccabile sulla quarta di un altro libro impilato alla mia sinistra (sì, in effetti sono un po’ disordinata ma sono periodi, quelli in cui scrivi/studi/cerchi e hai un po’ tutto intorno, i periodi Vodafone dello pseudo-letterato, quelli, cioè: ‘tutto intorno a te’).

E penso pure di essere – sicuramente di essere stata – in aperto conflitto con questo motto della Laterza, sia io che noi di Vox ma, appunto, come dice Tommaso, noi ormai qua siamo i vecchi, e forse quell’irruenza della gioventù l’abbiam perduta. (Almeno un po’, ohibò!).






Alla fine è così che succede.



È successo quello che doveva succedere.
Ci siamo addormentati, perché è venuto il sonno

a fare il nostro periodico ritratto



Così, sonnacchiosa, chiudo Vox scrivendo nulla, scrivendo del nulla, scrivendo a malapena: infilo parole una dopo l’altra come in uno spiedino, uno spiedino di ricordi, uno spiedino di bilanci: perché l’ultimo numero è un po’ il numero delle commemorazioni, delle riflessioni, forse è così. E allora il mio bilancio qual è? Mio? No, il nostro. In questi anni, grazie alle pagine e ai caratteri di Vox Studenti alcuni di noi hanno capito cosa fare del proprio, di carattere, consegnandolo proprio ai font dei nostri, spesso acerbi, approcci con la scrittura. Anche i più timidi si sono fatti coraggio alla fine e ogni mese, o saltuariamente, hanno trovato il tempo e il modo di collaborare.



Vox è diventato davvero la nostra voce, la nostra possibilità e il nostro orecchio: dicendo la nostra opinione su un qualcosa (dal gruppo emergente, al film, al libro, alla politica nazionale) o ascoltando la parola di altri compagni di studi sulle vicende universitarie, spesso ignote ai più, spesso poco seguite. Tra chi ha capito cosa voler fare da grande e chi invece magari dopo quest’esperienza ne è uscito ancora più confuso, questo giornale è sopravvissuto ai nostri esami, alle nostre tesi triennali, alle nostre esperienze (anche se brevi, più o meno valide, più o meno precarie) lavorative, alle nostre passioni.

Vox è stato il nostro (piccolo) impegno sopravvissuto agli impegni, cercare di far sopravvivere l’impegno agli impegni: questa forse è stata la lezione di quest’esperienza del giornale universitario: questa è la parte positiva di questi anni di lavoro, ricchi di imprecisioni, inesperienze, a volte facilonerie, certo (ne siamo tutti consapevoli) ma l’impegno di questo gruppo lo terrò sempre a mente, come una delle cose più care successe in quel di via Zamosch. Poi, non per essere sempre la solita ma, essendo più giovine di alcuni degli altri miei colleghi, incluso il buon compagno aquinate Di Brango, ‘io sono ancora qua’, come dice Vasco Rossi (per la serie ‘chiudere in (non)bellezza’). Quindi, per favore, come direbbe Errico: «non abbandoniamoci a queste esternazioni da libro cuore». Torniamo invece, subito, a lavorare. Visto che, tra le altre cose, in questo minestrone di parole, questa volta, non m’è proprio riuscito di fare qualcosa che avesse un senso.

Tamara Baris



*Caos lento perché: 1. se non ricordo male la recensione a Caos calmo di Sandro Veronesi fu la prima cosa che scrissi per Vox, o comunque, sicuramente, la prima recensione; 2. perché è un pezzo caotico e lento, frammentario e un po’ perso: in morte del giornale studentesco, l’elaborazione particolare del ‘lutto’ di un gruppo di opinabili opiniosti/scriventi: magari di tanto in tanto ci vedrete su una delle panchine di via Zamosch.




Francis Scott Fitzgerald, Romanzi, a cura di Fernanda Pivano (1972)

Sandro Veronesi, Baci scagliati altrove, Fandango Libri, Novembre 2011.

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