Caos
lento*.
Rileggo
l’articolo di Tommaso dopo averlo inoltrato ad Alberto, come è prassi, ormai da
un po’. Fuori fischia il vento, urla la
bufera, pare la bora di Trieste: peccato che dalla finestra si veda solo il
solito panorama, invece (che però non è per niente male, diciamolo). Lo scenario
sembra quasi apocalittico: cielo grigio (senza sognare California), vento,
pioggia: freddissima giornata uggiosa di Xmbre. È la giornata perfetta per l’addio
a Vox (o per un film dell’orrore). Vox è
morto, Vox ist tot (ma magari che ne sai, risorge).
Rileggo
Tommaso e mi soffermo sulle ultime righe, soprattutto.
Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
Sì, potrebbe starci: ‘la mia età’ anno più, anno
meno; e tutto il resto: dai che è precariato; ricerca sottopagata; graduatorie
infinite; ripetizioni il pomeriggio. Sì, siamo sono, siamo solo noi. (Scherzo
ma non troppo).
Però
conserviamo, o Tommaso, la speranza della resurrezione di Vox, o almeno
proviamoci. O ancora: non vorrei che tutto questo finisse, non vorrei che
l’uscita di scena di quella che Tommaso chiama ‘la nostra generazione’
significasse la fine di un’epoca, non lo vorrei, ma forse è così perché in fin
dei conti: lo è.
Ma
spero che possa esserci qualcun altro che abbia idee valide e magari migliori
delle nostre, spero che qualcuno frugandosi nelle tasche possa riuscire a
trovare una parola che si chiama impegno
e possa usarla, in qualche modo. Perché mi rifiuto di pensare che se anche
questo giornale dovesse morire a nessun altro possa venire qualche idea simile,
migliore, valida.
E
poi: suvvia Tommaso, vecchi? Col sorriso sulle labbra, pensando alla nostra
presunta vecchiaia dopo aver letto il collega Di Brango, mi volto e trovo il
Meridiano di Fitzgerald che mi fa compagnia sul mio scrittoio e penso a questo passo
che, quando lessi Belli e dannati, mi
colpì e che vista l’età anagrafica dei più tra noi voxisti, ci sta:
«Un altro inverno». La voce di
Maury giunse dalla finestra in un sussurro.
«Diventiamo vecchi, Anthony. Ho
ventisette anni, perdio! Mancano
tre anni ai trenta, e poi sarò quello che gli
studenti liceali chiamano
un uomo di mezza età».
Gli
studenti liceali, già. O anche le matricole, per dire. Vox di certo è nato che
eravamo più giovani e ne ha avuti di difetti, eccome. (Tra tre anni voialtri,
sarete uomini di mezza età, almeno stando a Maury, fatevene una ragione).
…
Pur
con tutti i difetti, le mancanze, gli errori, è stato impegno, è stato un
impegno, è stato il nostro impegno di
studenti. Forse quando abbiamo iniziato, non credevamo neanche che tutto questo
potesse andare avanti e resistere per
la bellezza di quattro anni, quattro anni in cui noi, studenti da strapazzo
promotori di uno scrausissimo giornale universitario, siamo cresciuti, siamo
diventati adulti (i vecchi di cui sopra).
Siamo
cresciuti e forse strada facendo il giornale è cresciuto con noi (in linea di
massima è migliorato negli anni, ora: no, vi prego, non cercate di ricordarvi
quand’è che pubblicammo quella veste grafica orrida, color giallo Simpson, non
siate pignoli, fidatevi di quello che dico: in linea di massima siamo
cresciuti, rispetto ai primi esperimenti), migliorato grazie all’impegno di
tutti noi, perché è così: perché questo giornale è sopravvissuto proprio grazie
a tutti noi, ai nostri contributi, alle attività collaterali e al sostegno di
tutti i lettori, studenti e docenti.
…
Ecco
io questa volta non ce l’ho fatta a sfornare una delle mie lunghissime
recensioni (perché sì spesso sono state lunghissime: i temuti animali
mitologici che arrivavano nella redazione di Vox spaventando i poveri Errico e
Alberico che dovevano a tutti i costi farle entrare nello spazio stabilito, mea culpa), questa volta non ce l’ho
fatta anche perché stavo per fare il colpo grosso, per chiudere in bellezza con
un’intervista tutt’altro che scontata che però è sfumata. Pazienza: sono cose
che capitano.
…
Una
cosa che ho imparato in questi anni (e anche in questi anni di Vox) è che: sì,
è possibile fare molto, e raggiungere più o meno tutte le persone che ci
passano per la testa, che spesso sono solo a un colpo di telefono o distano da
noi lo spazio del pulsante invio di un’e-mail ma siamo in un mondo che corre ed
è il tempo il tiranno più grande da fronteggiare: basta saperlo prendere, però.
Stavolta
mi sono voltata sulla sinistra, sul mio scrittoio - più che mai campo di battaglia - a ricordarmi
che «il tempo c’è sempre» c’è la copertina bianca che il buon Federico Mauro (insieme
al viral) ha confezionato per Fandango per l’ultimo di Sandro Veronesi, i
racconti di Baci Scagliati Altrove.
Questione
di tempo, e di tempi, la vita. Vero.
Bisognerebbe
ricordarselo. Accanto al libro della Fandango, il motto della Laterza ‘constanter et non trepide’ interviene
come a sottolineare questo aspetto, del tempo. Il motto, in tutta la sua
serietà, mi guarda come a dire «non te lo ricorderai mai», impeccabile sulla quarta di un altro libro
impilato alla mia sinistra (sì, in effetti sono un po’ disordinata ma sono
periodi, quelli in cui scrivi/studi/cerchi e hai un po’ tutto intorno, i
periodi Vodafone dello pseudo-letterato, quelli, cioè: ‘tutto intorno a te’).
E
penso pure di essere – sicuramente di essere stata – in aperto conflitto con
questo motto della Laterza, sia io che noi di Vox ma, appunto, come dice
Tommaso, noi ormai qua siamo i vecchi, e forse quell’irruenza della gioventù l’abbiam
perduta. (Almeno un po’, ohibò!).
…
Alla fine è così
che succede.
È successo quello che doveva succedere.
Ci siamo addormentati, perché è venuto il sonno
a fare il nostro periodico ritratto
Ci siamo addormentati, perché è venuto il sonno
a fare il nostro periodico ritratto
Così,
sonnacchiosa, chiudo Vox scrivendo nulla, scrivendo del nulla, scrivendo a
malapena: infilo parole una dopo l’altra come in uno spiedino, uno spiedino di
ricordi, uno spiedino di bilanci: perché l’ultimo numero è un po’ il numero
delle commemorazioni, delle riflessioni, forse è così. E allora il mio bilancio
qual è? Mio? No, il nostro. In questi anni, grazie alle pagine e ai caratteri
di Vox Studenti alcuni di noi hanno capito cosa fare del proprio, di carattere,
consegnandolo proprio ai font dei nostri, spesso acerbi, approcci con la scrittura.
Anche i più timidi si sono fatti coraggio alla fine e ogni mese, o
saltuariamente, hanno trovato il tempo e il modo di collaborare.
Vox è diventato davvero la nostra
voce, la nostra possibilità e il nostro orecchio: dicendo la nostra opinione su
un qualcosa (dal gruppo emergente, al film, al libro, alla politica nazionale)
o ascoltando la parola di altri compagni di studi sulle vicende universitarie,
spesso ignote ai più, spesso poco seguite. Tra chi ha capito cosa voler fare da
grande e chi invece magari dopo quest’esperienza ne è uscito ancora più
confuso, questo giornale è sopravvissuto ai nostri esami, alle nostre tesi
triennali, alle nostre esperienze (anche se brevi, più o meno valide, più o
meno precarie) lavorative, alle nostre passioni.
Vox
è stato il nostro (piccolo) impegno sopravvissuto agli impegni, cercare di far sopravvivere l’impegno agli
impegni: questa forse è stata la lezione di quest’esperienza del giornale
universitario: questa è la parte positiva di questi anni di lavoro, ricchi di
imprecisioni, inesperienze, a volte facilonerie, certo (ne siamo tutti
consapevoli) ma l’impegno di questo gruppo lo terrò sempre a mente, come una
delle cose più care successe in quel di via Zamosch. Poi, non per essere sempre
la solita ma, essendo più giovine di alcuni degli altri miei colleghi, incluso
il buon compagno aquinate Di Brango, ‘io sono ancora qua’, come dice Vasco
Rossi (per la serie ‘chiudere in (non)bellezza’). Quindi, per favore, come
direbbe Errico: «non abbandoniamoci a queste esternazioni da libro cuore». Torniamo
invece, subito, a lavorare. Visto che, tra le altre cose, in questo minestrone
di parole, questa volta, non m’è proprio riuscito di fare qualcosa che avesse
un senso.
Tamara Baris
*Caos
lento perché: 1. se non ricordo male la recensione a Caos calmo di Sandro
Veronesi fu la prima cosa che scrissi per Vox, o comunque, sicuramente, la
prima recensione; 2. perché è un pezzo caotico e lento, frammentario e un po’
perso: in morte del giornale studentesco, l’elaborazione particolare del
‘lutto’ di un gruppo di opinabili opiniosti/scriventi: magari di tanto in tanto ci
vedrete su una delle panchine di via Zamosch.
Francis Scott Fitzgerald, Romanzi,
a cura di Fernanda Pivano (1972)
Sandro Veronesi, Baci scagliati altrove, Fandango Libri,
Novembre 2011.
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