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giovedì 2 giugno 2011

Intervista ad Alessandro Bertante, tra i 12 finalisti del Premio Strega 2011 con Nina dei lupi, Marsilio.

Articolo per Vox Studenti,  maggio 2011

Intervista ad Alessandro Bertante, tra i 12 finalisti al Premio Strega 2011 con Nina dei lupi, Marsilio.        
              

Tra i 12 finalisti del Premio Strega di quest’anno c’è il bel romanzo di Alessandro Bertante: Nina dei lupi, edito da Marsilio. Un romanzo crudo, pietroso. Un romanzo visionario e mitopoietico.

Di séguito l’intervista allo scrittore che come la Di Grado e la Veladiano ha accolto il nostro invito e ha risposto alle mie domande.
(T) Al Salone del Libro di Torino c’è stato un incontro che ti ha visto insieme a Tommaso Pincio con  Scurati come moderatore: Romanzi alla fine del mondo. Negli ultimi anni la “fine”, l’apocalisse, è comparsa in più prove narrative: la “sciagura” nella storia di Nina, la Roma irriconoscibile di Cinacittà, penso anche ai Bambini Bonsai di Paolo Zanotti, o all’Uomo verticale di Longo. Perché romanzi alla fine del mondo? Da dove nascono?

(A) Questa pubblicistica nasce, secondo me, parallelamente a una fortissima produzione cinematografica che tratta di temi legati all’Apocalisse, basti pensare a tutti i film di Emmerich, a tutto un filone degli ultimi anni, il ritorno di certa cinematografia legata alla fine, a un immaginario distopico: tutta questa cinematografia credo sia stata molto influenzata dall’11 settembre: un’immagine evocativa e un’immagine di grande decadenza.  Credo che gli scrittori adesso si interroghino sulla possibile fine di una civiltà con l’Occidente che ha perso la propria centralità culturale ed economica nel mondo. Questo senso, questa sensazione è evidente un po’ in tutti i campi: in Italia siamo all’avanguardia, poi: abbiamo anche una grave decadenza culturale che vede come espressione più luminosa il nostro Presidente del Consiglio che non è causa, attenzione, ma: un sintomo. E quindi  in questa situazione, con l’Occidente che ha perso la propria centralità, la produzione artistica tenta di interrogarsi sul perché, ipotizzando anche una fine.

(T) Quindi la storia di Nina potrebbe essere un antidoto?
(A) Beh, innanzitutto la storia di Nina ha una struttura fiabesca, che lascia un finale aperto di palingenesi, di rinascita; però, se andiamo a vedere nel merito la storia di Nina, il presente da cui scaturisce la sciagura è un presente molto prossimo, non è assolutamente un immaginario fantascientifico. È una cosa plausibile, riconoscibile al lettore.

(T) Come la Roma di Cinacittà di Tommaso Pincio, del resto…
(A) Esatto, esatto… questo tipo di narrativa, che potremmo definire post-apocalittica, ha una specificità italiana: perché gli scrittori italiani non immaginano come gli statunitensi, McCarthy per esempio, un mondo devastato, desertificato, ma immaginano un mondo così come lo vedono adesso che amplifica, però, le proprie contraddizioni fino a portare a una decadenza irreversibile.

(T) Nina dei lupi è «Un dispositivo mitopoietico e visionario come pochi altri tra i romanzi contemporanei. Troppo spesso di mitopoiesi si parla e basta: qua il mito lo si fa, invece» ha scritto Marco Rovelli su L’Unità. Ti chiedo: Come si fa a fare un mito, o meglio: come si racconta un mito?
Perché come dice anche Diana ad Alessio nel romanzo: «non sarà facile ma si tratta proprio di questo, uomo, raccontare».  
(A) Ah, brava: questa è una citazione che mi piace… lì sta il punto.
Il mito è un evento storico che acquista col passare degli anni, dei secoli, una valenza fondativa e diventa, quindi, un mito fondante. Tutti i miti ovviamente poi sono trasfigurati ma hanno una base storica e poi diventano una base, una credenza condivisa che fa da collante a una comunità nuova. Quindi, penso che il mito, se lo volessimo creare oggi, dovrebbe essere un mito fondatore, condiviso da una comunità, altrimenti non avrebbe questa valenza, non avrebbe questa importanza. Penso poi alla parola “mitica/o” che è stata anche svilita nel contemporaneo: mitiche sono le All Star, mitico è un gruppo rock… e non è questo il mito, per questo quando si parla di mito bisogna incentrarlo in una dimensione storico-etica.

(T) Bertante è “un visionario in lingua media” come ha scritto Giglioli sul Manifesto? E in generale, cosa pensi della definizione di “lingua media” e della funzione, soprattutto, della lingua, che sia media o che abbia la connotazione che credi sia quella più giusta, nella narrativa contemporanea? 
(A) Allora: credo che la forma e il contenuto abbiano pari dignità e né l’uno né l’altro vadano sottovalutati. Sbilanciarsi in maniera spropositata sulla forma ci farebbe entrare nell’ottica del manierismo, che a me non interessa.
Per quanto riguarda la recensione di Giglioli, parlava di “lingua media” in riferimento alla lingua altissima novecentesca che non ha più senso, forse. Però molti altri critici lo hanno criticato per questa definizione dicendo che è tutt’altro che “media” la lingua di Nina dei Lupi perché è una lingua mimetica rispetto a quello che racconta e credo di essere d’accordo con questa seconda definizione perché ho lavorato per sottrazione. Giglioli ha ragione, giustamente parla di paratassi, lingua scarna… ma non è una conseguenza: è una scelta precisa. Ho lavorato coscientemente per sottrazione per arrivare a quel gelo, a quella crudezza, a quella pietrosità (come ha detto qualcun altro): ho dovuto lavorare per sottrazione.
È stato un preciso percorso stilistico: me lo pongo il problema della lingua, sì: per me la lingua è importante nel percorso narrativo di uno scrittore ma non deve diventare una costrizione, però.

(T) Qual è il personaggio-chiave del romanzo? Verrebbe da dire Nina, ma forse non è così. E qual è invece quello a te più caro?
(A) Per te qual è il personaggio-chiave del romanzo?
(T) Io avevo pensato a Diana, a dire il vero...
(A) Il personaggio-chiave, infatti, è proprio Diana. È la chiave di volta tra il mondo vecchio e il mondo nuovo. Il mondo vecchio basato sulla banalizzazione del presente che porta alla sciagura, il mondo nuovo, basato su nuove comunità autarchiche, che usa il linguaggio magico per interpretare la natura. Diana è il linguaggio magico: le sue parole le ho prese (quelle delle sue estasi oniriche…), direttamente da canti gaelici altomedievali: La battaglia degli Alberi, soprattutto, dello pseudo-bardo Taliesin che trovi anche in Robert Graves per la Dea Bianca: sono citati uguali, puoi trovarli lì.
Il personaggio di Diana è, quindi, il personaggio-cerniera tra il vecchio e il nuovo, anche Alessio, probabilmente è il più importante insieme a Nina, fa parte del Vecchio Mondo, anche la sua lotta coi predoni è una lotta del vecchio mondo. Lui sarà l’ultimo e infatti sarà considerato il Fondatore, però è del vecchio mondo, ed è sì: il personaggio a cui sono più legato.

(T) Una domanda che era anche nelle altre interviste
Si dice che un'opera parta sempre da una bibliografia intima: storie e letture che ispirano, anche inconsapevolmente. Quale è stata la tua bibliografia?
Mariapia Veladiano che abbiamo sentito sullo scorso numero di Vox ci ha parlato di
«amori bellissimi, che rovesciano la vita: Marguerite Yourcenar, Maria Bellonci e Francesco Biamonti». Quali sono stati tuoi?

(A) Oh, cos’ha citato la Veladiano! Per l’altro romanzo sicuramente Biamonti mi ha influenzato tantissimo, per Al diavul.
Però gli autori che mi hanno condizionato, su cui mi sono formato, sono: Dostoevsky; sì: anche la Yourcenar; Romain Gary; Irvine Welsh, il romanzo Colla, su tutti: fondamentale.
Per quanto riguarda Nina dei Lupi: a parte la Strada di Mc Carthy, fondamentale per chiunque voglia parlare di post-apocalittico, quelli che mi hanno influenzato sono tutti quelli che riguardano l’antropologia culturale, tutti i libri dell’immaginario legato alle leggende dell’arco alpino, a riti celtici e direi sicuramente anche l’opera dell’archeologa lituana Marija Gimbutas.

(T) Ultime due cose: lo Strega? e: quale pensi che sia il ruolo dello scrittore oggi?
(A) Il Premio Strega è il Premio più importante in Italia ed è un premio che dà molta visibilità. E come tutte le competizioni ha una fase ludica, anche divertente; ha una fase molto tradizionale, con dei vecchi riti, quasi arcaici; poi ha una fase più “politica”: quella che riguarda meno lo scrittore, che riguarda più… gli editori, e diciamo che è una fase molto importante: noi… non possiamo fare altro che partecipare.

Per quanto riguarda il ruolo dello scrittore, adesso, in questo periodo storico, deve riacquistare una coscienza etico-politica. Lo scrittore degli anni novanta, il Cannibale, che guardava in superficie con romanzi di formazione, parlando di consumismo, prodotti, commercio, …  forse non funziona più: siamo in una società che sta evolvendo troppo in fretta per non riuscire ad andare a cercare le cause e non solo i sintomi di quello che sta succedendo.
Ecco: lo scrittore che analizza i sintomi, a me non interessa.

Bene, ottimo: ti ringrazio.
Tamara Baris


Alessandro Bertante è nato ad Alessandria nel 1969, da sempre vive a Milano. Nel 2000 ha pubblicato il romanzo Malavida (Leoncavallo Libri), nel 2003 ha curato per la Piemme la raccolta di racconti 10 storie per la pace, nel 2005 è uscito il saggio Re Nudo (nda Press), nel 2007 il saggioContro il '68 (Agenzia x), nel 2008 il romanzo Al Diavul (Marsilio), vincitore del Premio Chianti e del Premio città di Bobbio. Insegna alla naba ed è condirettore artistico del festival letterario Officina Italia.
Alessandro Bertante, Nina dei lupi, Marsilio, 2011, pp. 224

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