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giovedì 2 giugno 2011

intervista a Viola Di Grado, Vox Studenti, maggio 2011

Settanta acrilico trenta lana di Viola Di Grado si aggiudica il Premio Campiello – Opera Prima.

Lo scorso 28 maggio Viola Di Grado, scrittrice esordiente in corsa per lo Strega si è aggiudicata con il suo Settanta acrilico trenta lana il Premio Campiello - Opera Prima.

Queste le motivazioni della giuria, composta tra gli altri da Gianluigi Beccaria, Riccardo Calimani, Philippe Daverio, Nicoletta Maraschio, Salvatore Silvano Nigro, Ermanno Paccagnini:
«Si impone subito per l’invenzione linguistica, spinta fino alla visionarietà. L’ambientazione in un quartiere periferico di Leeds, perennemente e tristemente invernale, tra personaggi tutti al limite della normalità, giustifica l’oltranza linguistica. Si capisce che il romanzo è di una spiccata originalità ed è contemporaneamente racconto di una non comune crudeltà. Per essere l’opera prima di una giovanissima scrittrice il romanzo è di grande maturità sia per struttura che per costruzione linguistica».

Un esordio fortunato, quindi, quello della Di Grado. Nel passato numero del giornale abbiamo inaugurato qualche pagina dedicata ai romanzi e agli scrittori finalisti del Premio Strega di quest’anno con un’intervista a Mariapia Veladiano (La vita accanto, Einaudi), continuiamo anche in questo numero ospitando di séguito le risposte che ci ha dato Viola.


Com’è nata la storia di Camelia, le sue ossessioni e quelle degli altri personaggi? Perché hai sentito il bisogno di raccontare quel mondo così cupo, così lacerato?
È nata dall’idea di un buco al di là del tempo in cui fossero cadute tutte le parole. Il buco iniziale che dà vita al trauma delle protagoniste e dissemina una serie infinita di suoi inquietanti correlativi: l’oblò della lavatrice, i buchi fotografati ossessivamente dalla madre, la caverna in cui Camelia consuma una relazione violenta con il fratello pazzo del ragazzo che ama… e dal desiderio di usare i caratteri cinesi come veri e propri personaggi, che possano salvare la vita di qualcuno.

Si dice che un'opera parta sempre da una bibliografia intima: storie e letture che ispirano, anche inconsapevolmente.
Quale è stata la tua bibliografia? Di quali storie non faresti a meno? Lo abbiamo chiesto anche a Mariapia Veladiano che ci ha parlato di «amori bellissimi, che rovesciano la vita: Marguerite Yourcenar, Maria Bellonci e Francesco Biamonti», confessandosi una bibliomane sin da bambina.

Sono feticista di Virginia Woolf e della letteratura giapponese antica. Sono una lettrice intollerante, ma ritengo che anche leggere libri brutti possa servire a qualcosa, è come un vaccino: immetti nel tuo cervello una piccola quantità di bruttezza per accertarti che non produrrai mai nulla di simile.

«La lingua è un crematorio incosciente che vuole condividere e invece distrugge», scrivi. E la lingua del romanzo, qual è? quale dovrebbe essere, qual è quella che insegui?

Volevo «dimenticare il linguaggio», come dice Zhuangzi, filosofo cinese. Nel senso di usare le parole come se fossero oggetti iniziali, crudi, da risignificare. È questa la lingua che cerco, nuova, che produca sfasamenti di senso.


Quando si diventa scrittori, scrivere diventa un dovere? O resta un piacere?

Per me resta un piacere terribile.

Che effetto fa essere tra i finalisti del Premio Strega?
Un bell’effetto, direi…


Grazie, Viola.

Tamara Baris

 
Viola Di Grado ha ventitré anni. 
È nata a Catania, si è laureata in lingue orientali a Torino e studia a Londra.


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